Quando giocavamo agli indiani - Nunzio Gambuti

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Quando giocavamo agli indiani

La mia anima

QUANDO GIOCAVAMO AGLI INDIANI
Come la giustizia è quasi sempre perdente
di Nunzio Gambuti



Era in un angolo, nel giardino dietro all'Oratorio, dove noi avevamo costruito la nostra capanna indiana. Ogni giorno, con fare quasi veritiero,  ci calavamo nella parte di Falco Rosso, Aquila Nera, Cavallo Pazzo, i personaggi che, per il loro coraggio e per quella voglia indomabile di libertà, più di altri erano entrati nella nostra fantasia. Le aquile, quelle vere, volavano troppo in alto  e troppo lontano dal nostro cielo, e così, una penna di gallina era il nostro simbolo guerriero, e restavamo nascosti per ore, dietro una siepe, ad aspettare un nemico che non arrivava mai. Mi sono chiesto tante volte cosa spingesse dentro di noi a  cercare una similitudine con questa gente dalla pelle rossa. Una risposta c'è. I ragazzi sono l'espressione migliore di una società, quando ancora vivono il tempo dei sogni e delle illusioni. Quante cose da fare domani ci sono nella mente di ognuno  di loro, cose che poi diventeranno cenere allorquando, diventati uomini, impareranno a vivere di effimero e compromessi. Ma ci sarà qualcuno che poi ritorna al passato, quando ti prende la voglia di voler cambiare le cose. Oggi, troppo poco è rimasto  di quelle radici e di quegli uomini liberi in una terra senza confini, e quando la storia vera non è un film, ci accorgiamo quante volte la giustizia è stata violentata lungo il cammino di una falsa civiltà e di un falso progresso. Giambattista  Vico ci ha raccontato dei "Corsi e ricorsi storici", e così la storia si ripete ancora, in un mondo che non sa trovare pace. Ieri gli Indiani Pellerossa, oggi la Somalia, il Rwanda, l'Afghanistan, i Kurdi, i Palestinesi, la Bosnia. Per questa gente  non c'è giustizia, perché questo è il tempo del "malessere", è il tempo di Caino e Abele, dove ogni stagione ha il suo tormento, e dove si consumano parole senza senso che servono soltanto a nascondere esclusivamente intrallazzi, traffici  ed affari. Fedro, scrittore latino, con la sua favola "Il lupo e l'agnello", ci rende ampiamente l'idea di un concetto applicato di giustizia: Il lupo, pur trovandosi nella parte superiore del fiume, accusava l'agnello di intorbidargli l'acqua e di altre  malefatte. A nulla valse, per il povero agnello, giustificare che non poteva essere lui ad intorbidare l'acqua, in quanto trovandosi nella parte bassa del fiume, questo non era possibile, mentre ugualmente  non poteva essere stato lui l'autore di quelle  malefatte perché in quel tempo non era ancora nato. Ma il lupo, che non stava cercando certamente giustizia, saltò ugualmente addosso all'agnello e lo sbranò. Ma ancora più chiaro, soprattutto per il momento che stiamo vivendo nel nostro paese,  un altro concetto di come può essere amministrata la giustizia ci viene dal Marchese del Grillo, nobile della Roma papalina risorgimentale, il quale volendo dimostrare come la  giustizia venisse applicata a soggetto e non per uguaglianza di diritto,  rifiutò provocatoriamente il pagamento ad un  commerciante ebreo, per tutta una serie di lavori e forniture varie, spingendo il povero uomo a citarlo in giudizio. Ebbene, ad essere condannato fu il commerciante, per la semplice motivazione: perché  io sono il Marchese del Grillo e voi non siete un c.... Ma, al contrario del lupo, il Marchese, che voleva soltanto denunciare la disuguaglianza della giustizia, non soltanto rimborsò tutto quanto doveva all'incredulo commerciante, ma volle essere  con lui notevolmente generoso, per ripagarlo del torto che aveva dovuto penare. Questo, ugualmente, succede oggi, mentre ci nascondiamo dietro un "Non è giusto ma è così". Ma se è vero che niente è già scritto nella logica delle cose,  allora non aspettiamoci dagli altri quello che noi non siamo capaci di dare a noi stessi.

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